Criteri di edizione

I presenti criteri prendono a riferimento la collana Musica teatrale del Settecento italiano e l’edizione nazionale delle opere di Gioachino Rossini. 

Caratteri generali

Il testo musicale di questa edizione restituisce fedelmente la lezione del manoscritto autografo o dalla fonte principale, risolvendone le ambiguità e colmandone le lacune con l’aiuto delle fonti secondarie. In aggiunta alla partitura nell’Introduzione, nell’Apparato critico e nelle Appendici saranno trattati i problemi storici riguardanti ogni singola commedia per musica, la genesi, lo studio delle fonti, la storia della tradizione manoscritta e/o a stampa e quella della tradizione esecutiva. Si è deciso, però, di non inserire nella presente Edizione Nazionale le Farse eseguite talvolta, secondo la prassi teatrale dell’epoca, dopo la “Commedia per musica” (ovviamente nella stessa serata) – nel caso di Cimarosa tre: Le stragavanze del conteI sdegni per amore e I finti nobili – in quanto non hanno nulla in comune sul piano drammatico-musicale con la “Commedia” alla quale erano associate. 

Organizzazione del volume

Ogni volume dovrà comprendere le seguenti parti:

a) il frontespizio, recante il titolo dell’opera e il nome del curatore;
b) l’indice;
c) l’elenco delle abbreviazioni;
d) l’introduzione;
e) l’elenco delle fonti;
f) i criteri dell’edizione;
g) i problemi editoriali;
h) il libretto;
i) i personaggi (con gli ambiti vocali) e l’organico orchestrale;
l) l’elenco dei pezzi
m) l’apparato critico;
n) eventuali appendici.

Impostazione generale dell’edizione

Tutto ciò che compare nell’autografo viene riportato in partitura o nell’Apparato Critico qualora le esigenze correttive alterino la lezione originale. In mancanza dell’autografo si risale temporalmente alla fonte più importante, ossia quella più vicina alla prima rappresentazione. Tuttavia, quando in altre fonti vengano prospettate soluzioni di rilievo, il curatore ne fa cenno nell’Apparato Critico. Sulla fonte prescelta, tuttavia, si devono operare i seguenti interventi:

1) Estensioni.

Indicazioni interpretative esemplificate solo in una o più parti strumentali, ma chiaramente valide anche per altre, vengono estese senza l’uso di parentesi o altri segni diacritici. Qualora le indicazioni siano particolarmente scarse è opportuno darne conto nell’Apparato Critico.

2) Eguaglianza di passi identici.

a) Quando un segmento del testo musicale ripete in modo identico un passaggio esposto in precedenza ma privo di indicazioni interpretative (dinamiche o agogiche) lo si uniforma alla prima occorrenza qualora vi siano ragioni plausibili e senza indicarlo in Apparato

b) Quando due o più passi identici hanno indicazioni interpretative diverse, il curatore valuta di volta in volta se non vi sia una precisa volontà dell’autore. Nel caso non riscontri ragioni plausibili per confermare le differenze, egli uniforma il tutto, indicando nell’Apparato critico le altre soluzioni prospettate dalla fonte principale e le ragioni della scelta. 

3) Aggiunte.

Le aggiunte di indicazioni interpretative, prive di riscontro nelle fonti ma ritenute indispensabili per la coerenza e la chiarezza dell’esecuzione, sono evidenziate con parentesi quadre, legature punteggiate e altri accorgimenti grafici che le differenziano nel corso della partitura. Il curatore ne darà poi conto nella sezione problemi editoriali

4) Correzioni di errori

Qualora si riscontrino nell’autografo o nella fonte principale errori evidenti che offrono un’unica possibilità di correzione, essi si correggono senza ricorrere ad espedienti grafici. Dove l’errore risulti meno ovvio e consenta correzioni diverse, la scelta del curatore sarà evidenziata nell’apparato critico. Lo stesso procedimento è adottato dove l’autografo presenta aspetti oscuri o confusi o appare lacunoso. Quando l’autografo presenta contrasti verticali illogici fra spunti analoghi di strumenti diversi, le incoerenze vengono eliminate, segnalando in apparato l’intervento compiuto.

Descrizione delle fonti

La descrizione della fonte principale deve essere completa e contenere analiticamente nel dettaglio l’indicazione di fascicolazione, filigrane, mani dei copisti, interventi dello stesso compositore negli eventuali passi non autografi. 

Libretto

La trascrizione dei libretti deve essere condotta diplomaticamente sulla base della fonte letteraria principale (di norma il libretto della prima rappresentazione), ricostruendo l’esatta sticometria e numerando i versi continuativamente dal primo all’ultimo. Nel caso di versi smembrati in più battute (verso “a scalino”), la relativa indicazione numerica sarà posta in linea con la prima segmentazione del verso.

criteri editoriali

Segni diacritici e interventi del curatore.

Gli interventi editoriali vengono segnalati tramite parentesi quadre o tratteggio per i segni, presenti in alcuni luoghi o alcune parti, che il curatore ritiene opportuno estendere ad altri luoghi concomitanti o paralleli, nonché per le indicazioni – assenti nella fonte principale – eventualmente desunte dalle fonti secondarie. La notazione ritmica della fonte originale è sempre conservata, anche nel caso di discrepanza tra diverse parti, a meno che il curatore non ritenga che essa scaturisce da errori banali. Una modalità esecutiva che interpreti la notazione ritmica o risolva la discordanza tra le parti è suggerita, in alcuni casi, tramite segni ritmici collocati sopra il pentagramma, in corrispondenza del passo interessato. I pezzi devono essere sempre numerati: qualora il numero non compaia nella fonte principale si integra tra parentesi quadre.

Disposizione degli strumenti.

La disposizione degli strumenti in partitura segue l’uso moderno, per cui le voci sono collocate sopra gli archi. Le coppie di fiati (legni e ottoni) sono poste sullo stesso rigo qualora non vi siano ragioni musicali che ne suggeriscano lo sdoppiamento su due. Si mantiene il doppio gambo (e relativi segni di articolazione, legature, ecc.) quando le due parti non procedono omoritmicamente. Per la numerazione delle coppie di strumenti si usano i numeri romani (es: oboe I-II).
Le parti che nella fonte principale sono lasciate vuote perché rinviano ad altra parte che procede all’unisono o all’ottava vengono scritte per esteso senza alcuna segnalazione. La parte della viola, nei passi in cui è prescritto che essa suoni «col basso», è trascritta di norma all’ottava superiore del basso; in alcuni casi, tuttavia, il curatore può ritenere più opportuna – in base a considerazioni di registro, di interferenza con le altre parti, di logica musicale – una trascrizione all’unisono segnalando opportunamente nell’apparato critico se il passo si trova nella fonte o è frutto della decisione del curatore.
Il nome degli strumenti ove non indicato in partitura è inserito tra parentesi quadre.
Le parti vocali utilizzano le chiavi moderne: violino per le voci scritte in chiave di soprano e contralto, violino tenorizzato per quelle in chiave di tenore, basso per quelle in chiave di basso.

Strumenti traspositori

Gli strumenti traspositori conservano l’impianto originale. 
Strumenti traspositori, come ad esempio corni, trombe, clarinetti e timpani, vengono indicati all’inizio di ciascun brano in forma modernizzata. 
Le diciture originarie sono riportate in sede di Apparato critico.

Corni e trombe

Qualora non vi siano indicazioni, le modalità di scrittura dei corni si ricavano dai contesti armonici dei singoli brani. L’opzione è quella di notare i corni in chiave di violino per strumento traspositore indicando il taglio (esplicitato o meno che sia dalla fonte originale). Le alterazioni necessarie vanno poste davanti alle singole note che le richiedono e non in chiave, per rispettare la consuetudine dell’epoca e l’abitudine dei cornisti a ragionare in termini di armonici naturali anziché di altezza dei suoni. Stesso discorso vale per le trombe.

Clarinetti

Vengono notati prevalentemente in chiave di violino, per strumenti traspositori, e gli strumenti devono sempre avere l’indicazione del taglio. Quando lo strumento è notato in chiave di tenore tale indicazione viene mantenuta.

Abbreviazioni

Le formule di abbreviazione che servono a facilitare la lettura sono riscritte per esteso. Mantengono invece l’abbreviazione le quartine e altre figurazioni regolari di biscrome e semibiscrome. 

Dinamiche

Tutte le indicazioni di tempo e di dinamica sono scritte secondo l’uso moderno (es. ff e non fmo). Nei manoscritti cimarosiani il ff è indicato come «f ass.» (= f assai), il pp come «p assai». Bisogna, però, valutare caso per caso. Ad esempio, è possibile indicare per «sf f» f + accento sulla nota o sulle note interessate. Un’altra indicazione peculiare è «ten.» (= «tenuto»), che compare quasi sempre in associazione a note lunghe, il più delle volte degli archi, o del fagotto. Nella stragrande maggioranza dei casi, questa indicazione considera implicita la dinamica del p (meno frequentemente quella del f). Occorre comunque aggiungere la dinamica tra parentesi quadra. È possibile indicare f, a seconda dei contesti, qualora la dinamica sia assente nella fonte e non sia ricavabile da passi precedenti.
Non sono differenziate le estensioni ovvie di segni dinamici e articolazioni tra parti della stessa famiglia strumentale. È possibile estendere tacitamente le dinamiche in passi uguali o affini e segnalando in apparato solo le estensioni non ovvie. Dinamiche derivanti da eventuali fonti secondarie possono essere inserite nel testo pure tra parentesi quadre con segnalazione nell’apparato critico. Si conserva l’eventuale uso di forcelle, con estensione tratteggiata solo tra famiglie dissimili e solo se appropriata e utile. Qualora vi sia difficoltà nel valutare la differenza tra un accento e una forcella di diminuendo, il curatore effettua la scelta musicalmente più logica dandone informazione in Apparato. Occorre inoltre mantenere la differenziazione tra punto di staccato semplice e cuneo (o tratto).

Ipometrie/ipermetrie

Nei recitativi, eventuali battute ipometre o ipermetre nella fonte vengono mantenute con segnalazione nell’Apparato critico e senza introdurre cambio di metro in partitura ma segnalando l’ipometria o l’ipermetria con una stanghetta tratteggiata.

Corone

La corona finale, laddove presente in una sola parte, viene estesa a tutte le altre senza segnalazione nell’apparato critico. Ove la corona abbracci una figurazione melodica, essa viene restituita nella forma quanto più possibile originale.

Legature

Nelle parti vocali si mantengono solo le legature presenti nella fonte senza estenderle da altre parti strumentali. Le figurazioni costituite da due semiminime unite da una legatura di valore sono normalizzate, quando possibile, in minima, così come due minime unite da una legatura di valore sono normalizzate in una semibreve, senza segnalazione nell’apparato critico. Differenze minime, dove la volontà dell’autore sia assolutamente chiara, sono uniformate senza ricorrere a note o ad artifici grafici. Quando nell’autografo il modello di articolazione di una frase ricorre più volte, esso viene esteso a tutti i passi essenzialmente identici senza ricorrere a osservazioni nell’apparato critico. Questa estensione è automatica solo all’interno di ciascuna famiglia di strumenti. Quando per la stessa figurazione vengono prospettati modelli diversi, il curatore, se non esistono valide ragioni musicali, può eguagliarli, ma nell’apparato critico darà conto anche delle altre soluzioni dell’autografo. 

Abbellimenti

Negli abbellimenti si mantiene tendenzialmente la forma grafica originale.

Basso continuo

La cifratura del basso continuo, ove presente, è desunta dalla fonte principale. Le cifre sono collocate sotto il pentagramma e le eventuali alterazioni sono poste sempre davanti alla cifra corrispondente. 

Testo poetico in partitura

Il testo poetico in partitura segue quello della principale fonte musicale. Il testo è integrato, ove necessario, con la punteggiatura desunta dal libretto a stampa della prima rappresentazione. Delle discrepanze sostanziali fra il testo verbale in partitura e quello del libretto a stampa si dà conto nell’apparato critico inserendo in apposita tabella le discordanze anche didascaliche partitura/libretto. Nei rari casi in cui la partitura presenti didascalie, queste sono riportate in corsivo sopra il rigo, al luogo (si vedano anche i Criteri per l’edizione del libretto, più avanti). 

Si raccomanda in partitura l’uso corrente di maiuscole e minuscole e l’ortografia secondo i seguenti principi: 

– si conservano le forme linguistiche desuete, le scempie e le doppie anche se divergono dall’uso corrente; 
-nei casi di apocope, elisione ed aferesi si modernizzano accenti ed apostrofi;
– si mantiene o aggiunge la etimologica se richiesto dall’uso moderno nelle forme del verbo “avere”;
– le mutano in se presenti in posizione intervocalica o nelle desinenze plurali;
– si uniscono avverbi composti e preposizioni articolate con grafia separata quando l’unione non comporta accenti o raddoppiamenti fonosintattici;

Gli evidenti errori materiali o le omissioni di accenti e doppie sono invece tacitamente normalizzate secondo il libretto.

Per quanto riguarda il napoletano, si rispettano i seguenti criteri:

– ch muta in cc quando corrisponde a palatale (ca [qua] da trascrivere cca);
– si aggiungono gli apostrofi mancanti alla maniera moderna; 
– si sciolgono i segni di abbreviazione;
– si mantiene la distinzione tra i e j;
– il segno ’ indica un troncamento della parola;
– l’accento su “pò” e “vò” indica la terza persona del presente indicativo di “potere” e “volere”; 
– l’apostrofo invece è utilizzato per distinguere la seconda persona dei verbi modali come “puo’” e vuo’”; 
– apostrofo per “si’” (sei);
– si mantengono “pe” (per), “cu” e “co” (con);
– si mantengono “nu”, “no”, “na”;
– le forme aferetiche degli articoli determinativi si trascrivono “’o” e “’a”;
– le consonanti doppie ad inizio parola vengono conservate.

Criteri per l’edizione del libretto 

Nota al testo 

Il testo base, come indicato nelle Norme generali, è il libretto della prima rappresentazione. Questo deve essere descritto in modo particolareggiato (vedi prossimo paragrafo). È necessario inoltre registrare anche tutte le altre fonti conosciute, riportandone di ciascuna almeno il titolo (meglio ancora il frontespizio), la città nella quale è stata rappresentata, l’anno e la biblioteca (compresa la città) nella quale è conservata.

Criteri di edizione e di trascrizione  

Nella descrizione del libretto prescelto si deve provvedere alla trascrizione diplomatica del frontespizio con l’ausilio delle barre di divisione (uniche alternanze consentite: corsivo/tondo, maiuscolo/minuscolo), l’elenco dei personaggi e interpreti, dello scenografo e del direttore d’orchestra e/o maestro al cembalo. Qualora figuri anche una Farsa – la cui edizione non è inclusa nella presente Edizione Nazionale –, sarà sufficiente darne una breve descrizione sulla base del libretto precedente. 

Si realizzi tale insieme descrittivo (distinto dal testo circostante con interlinea e corpo minore) secondo il seguente modello:

LA BALLERINA/ AMANTE / COMMEDIA PER MUSICA / DI / GIUSEPPE PALOMBA/ DA RAPPRESENTARSI / NEL NUOVO TEATRO DE’ FIORENTINI / Per second’Opera di quest’Anno / 1782. / [insegna/fregio tipografico] / IN NAPOLI / MDCCLXXXII. / Con licenza de’ Superiori.

Alle pp. 3-4 l’Argomento; nella pagina successiva, indicazione di scena, compositore, scenografo e costumista; a p. 6 elenco dei personaggi e dei relativi intrepreti. La commedia occupa le pp. 7-60: atto I, pp. 7-33; atto II, pp. 34-55; atto III, 55-60. 

Esemplare utilizzato: I-Fm Mel. 2244.3.

Paragrafatura e numerazione, trattamento di elementi paratestuali, stili tipografici

Il testo deve essere riprodotto completo anche di ogni elemento paratestuale (eventuale prefazione e/o argomento, elenco degli artisti, dei personaggi/interpreti ecc.). 
D’altro canto, va introdotta la necessaria paragrafatura, numerando il testo per verso in forma continua: la numerazione esplicita viene segnata ogni cinque unità (cinque versi). 
Nel caso di versi smembrati in più battute (verso “a scalino”), la relativa indicazione numerica sarà posta in linea con la prima segmentazione del verso. Ad esempio per il seguente verso, un ottonario (La ballerina amante, v. 11): 

Monsù  Caffè.
Betta                       Lesto.
Monsù                                        Il mio visino.

Le indicazioni al principio di atto si rendano in maiuscolo tondo, col numero in lettere per esteso, non puntato (ATTO SECONDO); quelle di scena in maiuscolo tondo, col numero romano, puntato (SCENA I.). L’ultima scena va indicata (conformemente, d’altronde, alla prassi delle stampe originarie) come SCENA ULTIMA.
Le didascalie collocate ad inizio di atto o di scena vanno trascritte in carattere corsivo; i nomi dei personaggi da esse richiamati, che agiscono nella scena, in maiuscoletto; ad esempio:

SCENA I.
Camera in casa della signora Barbara.
Barbara stirando delle camiscie, ed altre cose bianche sottili, e Giacomina, che lavorapoi Margarita.

Le didascalie legate alle singole battute vanno trascritte in carattere corsivo, tra parentesi tonda, con l’iniziale minuscola al principio e senza il punto fermo alla fine, rispettando la posizione in cui sono collocate nella stampa originale, cioè in fine di battuta; per esempio:

Don Marzio Sono di peso? (osserva coll’occhialetto)
Orsetta  Sior sì. (siede con franchezza)

I nomi dei personaggi cui spettano le battute vanno sempre indicati per esteso (anche laddove appaiano in forma abbreviata nella stampa di riferimento) e in carattere maiuscoletto.

Criteri grafici generali

In considerazione della difficoltà di distinguere di volta in volta la lezione d’autore nel complesso delle oscillazioni ortografiche ed interpuntive settecentesche, si proponga, per ogni commedia, una veste grafica nel limite del possibile e del ragionevole conservativa, quale documento di un processo in fieri che sembra giusto prendere in considerazione in tutte le sue fasi. Valga, insomma, il criterio della fedeltà grafica e morfologica (nel rispetto delle oscillazioni) all’esemplare di riferimento, senza il perseguimento di alcuna strategia di uniformazione. Se si dovrà, in tale ottica, mantenere tutto quanto non manifestamente giudicabile come erroneo, sarà parimenti indispensabile non sovradeterminare di intenzionalità (d’autore o di revisore tipografico) elementi chiaramente dimostrabili come erronei o insostanziali.

Si segnala peraltro che, sotto il profilo grafico-interpuntivo, un particolare valore testimoniale va riconosciuto alla princeps, sulla quale d’altronde si basa l’edizione presente, in quanto è l’allestimento tipografico di una prima edizione, basato su antigrafo manoscritto (presumibilmente autografo), che può documentare maggiore aderenza alle abitudine scrittorie dell’autore, inevitabilmente destinate ad essere obliterate, per il sovrapporsi dei vari stili editoriali, nelle ristampe successive. 

Gli emendamenti al testo su cui l’edizione si fonda andranno raccolti nell’Apparato critico. Nel caso di integrazione congetturale, il segmento interessato dovrà essere a testo, posto tra parentesi quadre, con l’avvertenza che l’uso delle parentesi quadre a segnalare forma integrata congetturalmente non può riguardare i segni di interpunzione ed è riservato a porzioni testuali pari o superiori all’unità lessicale.

Si elencano di seguito i criteri generali stabiliti per la trascrizione:

a)- abbreviazioni

Si sciolgano tutte le abbreviazioni (per es.: V. E.Vostra Eccellenzaa Ros.a Rosaura; V.S.Vostra Signoria; D.> Don). 

b)- maiuscole

Le maiuscole vanno ricondotte all’uso moderno, anche se in non pochi casi la princeps può al riguardo documentare una pratica significativa (e molto verosimilmente autografa): sarà pertanto opportuno che, qualora il curatore ritenga che nella stampa di riferimento le maiuscole abbiano un qualche significato connotativo, ne dia avvertenza nell’Apparato critico.
Si conservino d’altro canto le frequenti minuscole a seguito di punto esclamativo o interrogativo: come è stato infatti dimostrato, la tendenziale sistematicità dell’uso depone nel senso di una continuità logico-emotiva dell’enunciato.
Per quanto riguarda le commedie in versi, si provveda al riassorbimento di tutte le maiuscole occorrenti quasi sempre nelle parole iniziali di verso (fatte salve quelle rese necessarie da altre ragioni che non siano la posizione incipitaria di parola).

c)- i intervocalica

Lasciare la –j– intervocalica (per es.: ajuto) specialmente quando si tratta di testi in dialetto napoletano (nell’italiano la j deve essere trascritta –i-; per es.: > aiuto). Invece i plurali delle parole in –io non accentato vengono resi con –i, all’infuori dei casi dubbi (ad es. principii). 

d)- accentazione

L’accentazione va ricondotta all’uso moderno (con la distinzione di accento grave e accento acuto per e e o, rispetto all’uniformazione sull’accento grave di tutte le stampe settecentesche). Da spianare è, naturalmente, l’accentazione stereotipa, e spesso casuale, dei monosillabi, riconducendola, nel caso di omografie, all’uso moderno (dunque qui e qua, e non quì e quà, e, di contro, distinzione di  pronome da se congiunzione). In caso di omografia tra monosillabi accentati per ragioni distintive si proceda all’opportuna diversificazione (ad es.:   = fede a differenza di fe’ = fece).
L’accento va introdotto, però, quando l’accentazione dialettale nell’equivalente italiano può trarre in inganno come nel caso, ad esempio, del napoletano vattène, che se non accentato può essere letto come l’italiano vàttene;

e)- legamenti

Per le preposizioni articolate, si rispetti l’alternanza di forme deboli (a lade la) e forme forti (alladella). Si leghino, invece, tutte le forme del tipo deicoiai (non de ico ia i) e, parimenti, i pronomi glieli, gliele, gliene (non glie li, glie le, glie ne ecc.).
Più in generale, per quanto attiene il variegato ambito delle grafie sintetiche/analitiche, si distinguano i criteri operativi a seconda delle seguenti tipologie:

1) per forme avverbiali o congiunzioni composte si proceda a legatura solo laddove la grafia sintetica non comporti il risultato di una forma scempia (e dunque in vanoinvanoin veceinvecepur troppopurtroppoanzi cheanzichéper finoperfino, ma né men, e pur) Si preservi naturalmente la forma analitica quando attestata ancora oggi come concorrenziale rispetto a quella sintetica (ad es., chi sa);

2) si proceda a legatura nelle parole composte ormai lessicalizzate (mezzo giorno> mezzogiornomal conciomalconcio), nonché nelle indicazioni numeriche (tipo quatro milaquatromila; con l’avvertenza che, laddove ricorrenti in cifre, le indicazioni numeriche vanno trascritte in lettere);

3) si riconduca all’uso moderno l’occasionale univerbazione dei pronomi personali atoni in casi come mel’avrebbero, mentre naturalmente si preservi in concomitanza di forme apocopate (come sen vengasen vive o nol niegotel concedo);

4) i vari casi di apocope vocalica che nell’originale possono essere distinti ora con apostrofo ora dando luogo a parole composte vanno trascritti sempre in relazione al loro grado di lessicalizzazione corrente (per cui si proceda, per es., senz’altro ad univerbazione in fin’ora > finoratal’orataloratutt’oratuttora, rispettando invece la forma analitica – ma eliminando l’apostrofo – in or’oraor ora).

f)- oscillazioni

Si conservino tutte le alternanze e oscillazioni d’uso, tra forme arcaiche e moderne, colte o meno, d’impronta grammaticale o dialettale ecc. (per es. , negli articoli: li zecchini / gli zecchini / i zecchini; tra forme dittongate e non dittongate: giuoco / gioco; per metafonesi: pistare / pestare ecc.). Le alternanze vanno mantenute naturalmente anche nelle parti dialettali (ad es.,  (logo/liogo).

g)- geminate

Si presentano come uno dei fenomeni più complicati per un’edizione critica, nella difficoltà di distinguere tra errore del tipografo o svista dell’autore. Si raccomanda di mantenere tutte le grafie che abbiano evidente origine dialettale o si presentino come ipercorrettismi. Così, per esempio, si consiglia di mantenere l’alternanza tra scatola e scattolaroba e robba, oppure parruccaparuccaparruca, ecc.; si mantengano parimenti le oscillazioni che possono avere origine latina (obligazionecommune ecc.). 

h)- interpunzione

L’interpunzione dell’originale sarà fedelmente riprodotta, anche nelle oscillazioni d’uso. 
È tuttavia da valutare l’opportunità di procedere alla normalizzazione della ricorrenza della virgola davanti a che: trattandosi di prassi interpuntiva tradizionale che potrebbe dar luogo, per il moderno lettore, ad un tipo di pausazione aberrante o fuorviante (mentre difficilmente potrebbero risultare difendibili ipotesi di un suo uso espressivo, stante l’altissimo grado di convenzionalità che gli era proprio ancora nella pratica settecentesca): se ne consiglia pertanto vivamente l’espunzione nella demarcazione reggente-subordinata completiva, nella scansione delle relative con funzione limitativa, nella separazione del che relativo da un antecedente pronominale di tipo dimostrativo.

Criteri per trascrizione del napoletano

Criteri già indicati nelle norme generali:

– si aggiungono gli apostrofi mancanti alla maniera moderna;
– si sciolgono i segni di abbreviazione;
– si mantiene la distinzione tra i e j;
– il segno ‘ indica un troncamento della parola.

Criteri aggiuntivi:

– gli infiniti tronchi vanno trascritti sempre accentati, e non con segno di apocope, ad evitare confusione con possibili omografi (ad es. fà=fare, fa’=fai);
– l’accento su “pò” e “vò” indica la terza persona del presente indicativo di “potere” e “volere”; c’è da tener presente anche po=po’ (poco) e po=poi; per evitare confusioni, quest’ultimo andrà trascritto senza segno di apocope;
 con l’accento, inoltre, si segnala la corretta pronuncia di alcune parole sdrucciole o di altre, in specie quando si tratti di forme radicalmente diverse dalle corrispettive italiane, per es. parlàvamo, parlavamo;
– l’apostrofo è utilizzato per distinguere la seconda persona dei verbi modali come “puo’” e vuo’”; ma anche per sa’ sai, si’ sei, so’, sono, con segno di aferesi e con apostrofo si indica l’imperativo ‘i’, vedi (dal dialetto vide);
– l’apostrofo per “si’” (sei); si può stare anche per si’< sio (signore): vedi Ballerina amante v. 116, «Ne si Don Totomaglio», che andrà trascritto Neh, si’ Don Totomaglio (il neh è particella in posizione di esordio della domanda);
– si ricorre al doppio apostrofo quando una forma con elisione è seguita da un articolo: dint’ ‘a (non così naturalmente quando seguita dalla preposizione a);
– si mantengono “pe” (per), “cu” e “co” (con), senza il segno di apocope;
– si mantengono “nu”, “no”, “na”;
– le forme aferetiche degli articoli determinativi si trascrivono “‘o” e “‘a”;
– le consonanti doppie ad inizio parola vengono conservate.
– alcune grafie caratterizzanti: seh (che nelle stampe potrebbe figurare come se), alterazione ironica di ; il già citato vocativo neh; meh, ‘suvvia’; te’, imperativo di tenere.